Nel corso degli anni l'ho visto cambiare così tanto che per una persona estranea sarebbe stato irriconoscibile...
All'inizio c'erano i rovi, che lasciarono posto alla terra arata ed agli alberi da frutto; pian piano crebbero, in mezzo alla natura, per mano dell'uomo, un gazebo in legno avvolto da bianchi fiori di gelsomino, un rosso forno a legna ed un piccolo casottino per gli attrezzi.
Vi fu portata una roulotte con i suoi lettini, le tendine di pizzo e la sua piccola cucina, sotto il gazebo fu sistemato un pesante tavolo in marmo rosa con le sue forti e fredde panche.
Fu scavato un pozzo e fu posizionato un grande cancello in ferro battuto, ricordo ancora quando nonno e zio ci lavoravano su.
Il campo di pannocchie dove io e nonno ci nascondevamo lasciò il posto al recinto di conigli e galline, eretto con le sue forti mani, all'ombra degli ulivi centenari si succedevano filari di pisellini dolci come lo zucchero, carotine piccole come un mignolo, fragoline succose, meloni, zucchine, angurie e zucche...
Amavo passare sotto le canne incrociate che tenevano ferme le piante di pomodori, cogliere i chicchi d'uva e le albicocche, andare in cerca di funghi ed asparagi selvatici, dondolarmi sull'altalena che nonno mi aveva costruito con corda e legno, appesa al ramo del più forte albero d'olivo...
Ma c'era una pianta che amavo più di tutte, più del susino, del pero e del pesco, più del corbezzolo in collina e l'albicocco maestoso, più del melo alto e storto, più del melograno che, non sappiamo perchè, ci ha sempre dato frutti aspri più del limone che troneggiava al cancello, a fianco del cedro, io amavo il fico...
Quando c'era nonnna la terra era piena di fiori, di gigli bianchi, di bocche di leone ai piedi del grande albero di mimosa, di petunie e violette, di margherite gialle e geranei rossi, e le ceste erano sempre colme di frutta, nell'aria sempre un buon profumo di marmellata, di pizza fatta in casa e legna bruciata...
La osservavo Preparare gli involtini di verza, la torta di mele e quella di frutta, tutto nel forno a legna.
Poi nonna non ci fu più, e con lei se ne andò anche la voglia di nonno di tenere le galline ed i conigli che lei amava tanto coccolare, curò le sue piante, ma non piantò mai nuovi fiori.
Qualche pianta è rimasta, resistita a lunghi inverni nevosi e torride estati, ma le ceste da allora rimasero vuote, e nessuno fece più la marmellata che tanto adoravo.
Nonno continuò a lavorare la terra, istancabile, sul suo trattore arancione che ha più anni di me, con la forza di dieci uomini, tutto da solo.
Arava la terra, raccoglieva i suoi frutti e li portava a me e mamma, e la terra era bella, un oasi di pace e tranquillità in cui amavo trascorrere le mie giornate primaverili.
Il tempo passava, ed io crescevo...
Aiutavo nonno a cogliere le ciliege, mi arrampicavo di nascosto sulla scala per poter arrivare ai fichi più alti e più maturi, raccoglievo le olive e sistemavo le reti sotto gli alberi, andavamo insieme al frantoio fuori città, per quello che ormai, per me era un rito sacro: la pesa della macchina, il forte profumo di olio e pane tostato, i sacchi svuotati, le grandi macine in pietra che lavoravano senza sosta, il freddo pungente all'esterno, il caldo soffocante, di quello che ti fa venir le punte delle orecchie rosse come la polpa delle angurie.
Il rumore assordante e la caciara dei contadini intenti a chiacchierare, frangere ed imbottigliare; il tragitto verso casa stanca ma felice, il raffreddore del giorno dopo, puntuale come un orologio svizzero .
Gli anni passavano, ed io iniziai a rimpire le ceste di frutta.
Poi nacque mia figlia, e quando fu abbastanza grande da poter sgambettare liberamente, anche lei iniziò a cogliere la frutta, a dondolarsi felice sul dondolo, ad abbuffarsi di pane e pomodoro con l'olio buono, quello nostro, durante i giorni afosi la portavo sotto il fico, che con la sua ombra fresca e generosa ci dava riparo, da li osservavamo tutta la terra, cullate dal profumo del cespuglio di rosmarino, così grande da sembrare una macchia scura ed intricata.
Iniziai a preparare le marmellate, la frutta sciroppata e le crostate, e per un'pò, la vita sembrò perfetta.
Osservavamo i fichi, ed attendevamo con ansia di arrivare a settembre per poterli raccogliere ed adagiare nelle grandi ceste di vimini rivestite di foglie, bramavamo di poterli aprire, ammirare il loro cuore rosso come il sangue ed assaporarne il sapore nettarino.
La marmellata di fichi è sempre stata, insieme a quella di more, una delle mie preferite, mia nonna le faceva così buone che ancora ne ricordo il sapore..
Poi anche nonno non ci fu più, nessuno venne più con me alla terra, nessuno raccolse la frutta, che iniziò a cadere, i rovi iniziarono a ricoprire il terreno, la terra si fece brulla, l'erba troppo alta, le piante in attesa di esser travasate, ormai secche.
Non sono passati neanche due anni, eppure a me sembra passata una vita intera, ed a volte, questo lungo tempo che mi lascio alle spalle, sembra solo un attimo, irreale come uno sfocato ricordo vissuto troppo in là.
Sono tornata alla mia terra, con il rammarico di non avere mani troppo grandi per poter curare gli alberi, una schiena forte come quella di nonno, per poterla lavorare, la conoscenza di nonna per curare le piante, sono tornata, ma non per il susino, per il pesco o per il melo, sono tornata solo per il fico, per i suoi frutti e le sue foglie, per accarezzare ancora il suo tronco ruvido, per riposarmi all'ombra della sua chioma, per portare a mia figlia i preziosi frutti, per osservare le foglie cadere, e la corteccia diventare d'argento, per fischiare al pettirosso che tra i rami di legnoso metallo sembra quasi un dipinto ad olio.
E' strano come alcune cose, alcuni piccoli dettagli, ci rimangano impressi a vita nella mente, come se li avessimo marchiati a fuoco nella nostra pelle, ci sono cose che non mi scorderò mai: mia nonna che schiumava il pentolone pieno di marmellata di albicocche, io che uscivo in giardino per coglierle direttamente dall'albero, con il tronco nodoso, innestato in un susino, io che le lavo velocemente, le apro in due e le mangio in quattro grandi morsi.
Il profumo della marmellata di more, della minestra di pesce, e nonna che impila le acciughe in un grande barattolo, alternandole con il sale grosso e lasciandole riposare sotto il peso di una tavola di legno, le mani di nonna che a Natale, veloci ed esperte, adagiavano lunghe file di gnocchi su una tavola, lasciati poi a riposare sotto un candido lenzuolo bianco.
Nonno che torna da lavoro, che mi sembra così alto da toccare il soffitto, che beve il suo vino in un boccale di pesante vetro sfaccettato, nonno che torna dalla terra, con cesti di pere, mele, fichi e porcini, nonno che a primavera torna in casa con mazzetti di asparagi selvatici necessari a sfamare una famiglia, ma che li conserva solo per me.
La marmellata di fichi sui biscotti invernali, il ricordo di me che raschio dalla pentola la marmellata rimasta, e che sento i semini dei fichi scoppiettare come piccole scintille di zucchero.
I barattoli impilati nel ripostiglio, al buio, le damigiane d'olio, il profumo dei limoni e della lavanda, la rugiada del mattino, la casetta in giardino, l'abero di Natale pieno di resina e le sue luci scintillanti.
Ci sono tante cose che mi ricordano la mia infanzia, ma poche riescono a portarmi indietro con il pensiero a quei giorni felici: le albicocche del giardino, la marmellata di more ed i fichi.
Ficotti
Ovvero: Ravioli al ficotto con ripieno liquido di parmigiano stagionato e tartufo bianco
Il Ficotto è un concentrato purissimo di succo di fichi, quasi un caramello scuro, ottenuto senza aggiunta di zucchero, a produrlo è l'azienda Terravecchia, che per realizzarne un litro utilizza 10 kg di fichi freschi freschi.
Per 2 persone
Tempo preparazione: 40 minuti
Per il ripieno
Preparate il ripieno prima della pasta, affinchè possa riposare ed insaporirsi, guadagnerete tempo ed il risultato sarà migliore.
200 ml di latte intero fresco
50 ml di panna fresca
1 scorza di parmigiano stagionato 36 mesi
200 g di parmigiano grattugiato
1 cucchiaio di fecola
scaglie di tartufo bianco
olio al tartufo
sale e pepe nero macinato fresco q.b
In una pentola unite il latte, la panna e la scorza di parmigiano, portate ad ebollizione, fate intiepidire.
Eliminate la scorza ed unite i restanti ingredienti, trasferite nuovamente sul fuoco e fate addensare.
Trasferite in frigorifero.
Per la pasta
70 g di semola
30 g di farina 00
una presa di sale
5 cucchiai colmi di Ficotto TerraVecchia
Unite tutti gli ingredienti, ed unite acqua q.b per far si che si amalgamino ( ne occorrerà davvero poca).
Lavorate per bene la pasta, non dovranno esser presenti grumi o striature.
Quindi stendetela.
Componiamo il piatto
Il ripieno, in frigorifero si sarà rappreso, disponetelo sulla pasta stesa, ripiegate la pasta su se stessa, avendo cura di inumidirla leggermente.
Con un coppapasta ricavatene dei cerchi, sigillate bene i bordi.
Tuffate i ravioli in abbondante acqua bollente salata.
Fateli cuocere 4 minuti, quindi scolateli e saltateli in una padella con olio extra vergine al tartufo.
Ultimate con scaglie di tartufo bianco e foglia d'oro Berta Battiloro
Servite subito.
Ho servito nel bellissimo piatto lavorato La Porcellana Bianca.
Nessuno può fare per i bambini piccoli ciò che fanno i nonni. I nonni cospargono la polvere di stelle sulla vita dei bambini.
Alex Haley
Con questa ricetta partecipo al Contest "A me piace Ficotto" indetto da Scatti Golosi, Terravecchia e l'Unione Cuochi Lucani.